sabato 30 giugno 2007

Viaggio senza fine, di Daniele Vicari

Su segnalazione di Luca Pasqualotto (responsabile Internet nazionale IDV giovani) inseriamo questa bellissima intervista di Daniele Vicari sul nostro paese,

Viaggio senza fine

Tra il 1959 ed il 1960 uno dei più grandi documentaristi della storia del cinema, Joris Ivens, realizzò - su commissione di Enrico Mattei presidente dell’Eni - un film dal titolo emblematico: L’Italia non è un paese povero. Attraverso un lungo viaggio, dal nord ormai rinato dalle macerie del secondo conflitto mondiale, al sud ancora fortemente arretrato, Ivens raccontava lo sforzo di industrializzazione di un paese alla vigilia del boom economico. Tra il 2005 e il 2006 Daniele Vicari ha ripercorso l’Italia in senso inverso per raccontare un presente segnato dalla crisi economica interna e dalla conseguente perdita di competitività internazionale.
Nel suo viaggio - dalla Sicilia industriale di Gela e Termini Imerese, passando per Melfi, per i laboratori dell’Enea di Roma, dove si fa ricerca sulle energie alternative, per una città come Prato, alle prese con la complessa dinamica dell’immigrazione cinese, fino a Porto Marghera,- Vicari racconta un paese in difficoltà, che sta tuttavia cambiando pelle: assieme all’Italia del declino emerge quella della riconversione, di una nuova trasformazione.
Un film documentario dove le immagini di Ivens sono un punto di riferimento costante, una suggestione tematica e narrativa, su cui si innesta la scoperta di un paesaggio italiano, industriale e post-industriale, di grande impatto visivo. Il paese di oggi si mostra in controluce attraverso quel modello di quarantacinque anni fa, insieme fotografia di un momento storico irripetibile e pagina di grande cinema.
"E' un film molto personale." dice il filmaker " che cerca di raccontare uno spicchio dell'Italia che, però, rappresenta bene il passaggio storico che sta vivendo il nostro paese."

Come si è trovato a tornare a lavorare su un documentario dopo due film di finzione?
Per me non c'è una grande differenza anche se ho lavorato in maniera nuova grazie ad un produttore (Gregorio Paonessa) che ha saputo sostenermi economicamente e stimolarmi intellettualmente. Con lui realizzerò il mio prossimo film a metà strada tra fiction e cinema della realtà dedicato ai fatti del G8 di Genova.
Ci siamo impegnati molto nel lavoro di ricerca e - man mano - grazie alla dimensione produttiva cresciuta fino a raggiungere i 500.000 euro ha fatto diventare questo lavoro qualcosa di più di quello che era sulla carta. E' la prima volta che mi succede: non mi era mai capitato che il lavoro finale diventasse di più di come era partito sulla carta.

In che rapporto sta il suo film con quello di Ivens?
Io ho rifatto il suo viaggio al contrario in un continuo rimando al lavoro di Ivens e – al tempo stesso – sviluppando un discorso completamente differente. A me non è interessato tanto raccontare la situazione dell'industria nel nostro paese, ma il suo rapporto, spesso, difficile, con la nostra società e mettendo in dubbio lo stesso modello di sviluppo italiano. Il mio paese attraverso le persone che ci guidano nei vari luoghi offre un percorso antropologico all'interno dello sviluppo italiano.

E' una sorta di sequel - remake...
Già negli anni Cinquanta Cesare Zavattini voleva realizzare un viaggio cinematografico in Italia da Sud a Nord intitolato Il mio paese. Né De Sica, né Rossellini vollero accontentarlo. Quando ho visto il film di Ivens non ho potuto fare a meno di pensare che Ivens, inconsciamente, aveva risposto al desiderio di Zavattini seguendo l'ottica particolare dell'industria e di come una società trasforma sé stessa attraverso il lavoro. Come spettatore un cinema del genere 'mi manca' un po'.
I documentari devono raccontare come una società ripensa se stessa e io - come nano sulle spalle dei giganti - ho voluto provarci. La presenza del film di Ivens nel mio non comporta parallelismi, ma solo un riferimento costante. Io mi sono fatto guidare e mi sono lasciato dare una prospettiva. Per questo dico che il film è molto personale. Ho voluto seguire la mia idea di uomo di oggi nell'attraversare l'Italia del ventunesimo secolo.

Dal punto di vista delle conclusioni che differenza c'è tra il suo film e quello di Ivens?
Ivens ha realizzato un film quando l'Italia era in crescita. Oggi l'Italia è un paese in difficoltà che sta ripensando se stesso. Le conclusioni sono diverse, anche se il nostro non è un paese morto, ma vive una grandissima vitalità sotto pelle.
In alcune zone l'Italia sta reagendo e questa situazione sta già portando ad un nuovo tipo di crescita.

Lei è pessimista?
No, assolutamente. La mia sensazione è che l'Italia stia reagendo molto più di quanto non sembri. Questa reazione è sana, perché passa attraverso una grande maturità e consapevolezza culturale. Oggi, a tutti i livelli, le persone sanno qual è la situazione e vogliono affrontarla: questa è la ricchezza de Il mio paese. La coscienza collettiva non si è arresa, mentre la classe dirigente purtroppo arranca ancora.

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